Il Libano ha circa 10.000 km quadrati di superficie, sui quali vivono 4 milioni di libanesi, 2 milioni di rifugiati siriani, mezzo milione di palestinesi. Quindici milioni di libanesi sono in giro per il Mondo a fare affari. Tutta l’edilizia di lusso che si costruisce a Beirut è per loro, per tornare in patria di quando in quando, per non perdere le radici. La lingua libanese è arabo infarcito di parole francesi, mentre i giovani, soprattutto gli addetti al turismo e alla ristorazione, preferiscono l’inglese. Dopo aver visitato Beirut mi sono spinto nella Valle della Bekà per vedere i siti archeologici di Anjar e Baaalbek. Ad accompagnarmi c’era Madeleine, una bella signora sulla cinquantina che ha vissuto la prima guerra nel 1975, poi nell’82 quando con la famiglia si sono rifugiati sulle montagne, e infine nel 2006 quando era infermiera volontaria e un giorno tornando a casa ha scoperto che il suo appartamento non c’era più, centrato in pieno dall’artiglieria non si sa quale parte belligerante. Madeleine è precisa nel racconto e parla un francese fluente. Dice che le cose in Libano avanzano grazie al mecenatismo, lo Stato è poco presente. Su di un van guidato da un autista fidato prendiamo la strada che sale al passo del Mont Liban, la strada per Damasco.
Scendiamo nella Valle della Bekà, fortemente popolata. Ci sono le tendopoli, le baracche dei 2 milioni di siriani scappati dalla guerra, povere abitazioni provvisorie fatte di tendoni di plastica su un traliccio di pali. E qualche copertone messo sopra per non far volare via tutto.
I rifugiati precedenti, i Palestinesi, hanno ormai case e negozi un po’ più avanti, anche se lo chiamano sempre Campo Palestinese. E a Anjar, che è a 2 km dal posto di frontiera con la Siria, ai tempi del protettorato francese si erano installati gli armeni in fuga dai pogrom turchi. Si sono inseriti nel tessuto sociale libanese e sono dei bravi artigiani dell’argento, creano bei manufatti che vendono a 4 dollari al grammo. La visita al palazzo di vacanza del khalifa ommayyedita, restaurato un po’ troppo allegramente, mi permette di vedere la tecnica di costruzione antica: pietre e poi uno strato di 50 cm di malta e laterizio e poi ancora pietra. La Bekà è zona sismica, è sulla stessa faglia che passa per la valle del Riff probabilmente. È una valle ampia una decina di km e lunga 70, con due fiumi. Protetta dal Mont Liban e dai monti dell’est, è sempre stata fertilissima e contesa da varie civilizzazioni. Più a nord si arriva a Baalbeck, l’antica Heliopolis voluta da Augusto con tre templi magnifici. Il sancta santorum dell’immenso tempio dedicato a Giove ospitava una statua del padre degli dei in oro. E per vederla i pellegrini, non potendo accedervi perché era prerogativa dei sacerdoti, salivano su due torri esterne dalle quali si scorgeva l’interno del tempio, sorretto da colonne di 22 metri. Ne sono rimaste 6 in piedi ed è una ditta italiana che si occupa del loro restauro. Infatti non si vede nessuno al lavoro. Il tempio meglio conservato è quello di Bacco. Il tetto è crollato ma tutte le colonne sono al loro posto. In quel tempio si svolgevano i Baccanali, si beveva vino, si assumeva papavero e poi ci si ingrottava con le baccanti in una dark room a sinistra dell’altare principale (nella foto alle mie spalle). Baalbeck è uno dei siti archeologici migliori che io abbia visto. Peccato che il tempio di Venere attualmente sia chiuso e non visitabile. Il vecchio hotel Palmyra è ospitato in un deliziosa costruzione di fine 800, e fu edificato sull’anfiteatro di Heliopolis, utilizzandone in parte le pietre. Di ritorno, visito les Caves de Ksara, che sfruttano 445 ettari di vigneti nella Valle della Bekà e producono 4 milioni di bottiglie di Sirah, Malbeck, Chardonay: 8 Rossi, 4 bianchi e 2 rosé. Le cantine erano state scavate dai romani, ampliate dai gesuiti che facevano il vino per la messa, dal 1918 sotto il protettorato francese. Poi hanno venduto a 4 famiglie di businessmen libanesi. Si ritorna a Beirut, e saluto la mia guida Madeleine. Il suo racconto dell’appartamento esploso, dei suoi vestiti sparsi per centinaia di metri, mi ha impressionato. Con una mancia generosa le offro una camicetta nuova.