VENEZIA CON CORONA E SENZA

Una delle città d’arte che ogni anno attirano turisti da tutto il mondo. Myriam Zerbi ce la racconta oggi, all’epoca del Covid19, illustrata dalle foto di Carla Carletto.

Da sempre, ondate di pandemia hanno flagellato il mondo. Ci siamo capitati anche noi, nella nostra breve esistenza in un anno bisestile, con quel giorno in più che lo rende, per tradizione, funesto: 2020 dilaga il Corona virus, tutti chiusi in casa, in un tempo sospeso, a riflettere sulla vulnerabilità
dell’essere, per quanto tracotante e invasivo.

E le nostre città? Lo stesso sgomento che De Chirico ci ha sempre provocato con le sue Piazze d’Italia, desolate e silenti, lo abbiamo provato davanti agli
spazi cittadini vuoti dove tacite pietre e architetture sembravano finalmente libere di respirare, senza la nostra presenza. Venezia senza turisti, chi l’avrebbe mai potuta immaginare? Sul Canal Grande come nessuno l’ha mai visto da generazioni, dove l’acqua è limpido specchio, in un silenzio irreale, dalle bianche volute barocche della Basilica della Salute, per chi sa ascoltare, sembra emergere una voce: è l’architetto Baldassarre Longhena che attira la nostra attenzione: “Trentatré anni avevo quando fui incaricato dal Senato di progettare la chiesa, eretta come voto per la
liberazione dal morbo e dedicata alla Vergine che, sulla sommità della cupola, da allora protegge la città con il bastone di Capitana da Mar. Era il 1631. Bruttissima fu la peste ed è raffigurata da Giusto Le Court nel gruppo scultoreo sull’altare maggiore come orribile megera che fugge urlando,
senza denti – ormai non morde più – incalzata da un angelo con la torcia infuocata
“.

Papere a Venezia

Il mondo oggi è in attesa di un messaggero di speranza armato di antidoto scientifico, cura o vaccino che sconfigga gli agenti patogeni. Intanto i veneziani che uscivano per fare le spese nei giorni di quarantena,
ricordano di aver visto mamma anatra che passeggiava impettita con i suoi quindici anatroccoli permle calli dietro a Rialto, mentre sotto l’acqua trasparente un’incantevole medusa scivolava, non lontano da San Marco, e poco più in là si scorgevano i flessuosi tentacoli di un polpo, folpo in
veneziano.

Oggi, tornati liberi, dopo una clausura di mesi, si ricomincia a circolare, riassaporando un po’ di normalità, anche se ancora non si sono spente le raccomandazioni di non abbassare la guardia. Nei locali al chiuso si entra in mascherina, ci si disinfetta le mani all’ingresso dei locali. Qualche
visitatore osa entrare nei negozi sprovvisto di mascherina, con un egoistico motto-antidoto in bocca: “Io non ho paura”, ma viene stoppato prontamente dal personale. Il senso civico dovrebbe essere un atteggiamento di rispetto verso gli altri che andrebbe formato fin dalla fanciullezza, divenendo una
materia studiata a scuola. Dopo un primo periodo di stupefatta irrealtà che vedeva una città splendidamente vuota, inverosimile e inconcepibile, percorsa da personaggi con scafandri che sembravano acchiappa fantasmi ed erano disinfettatori, Venezia, dopo la forzata clausura, è
divenuta miracolosamente il posto dei veneziani, senza più frotte di visitatori fluttuanti lungo le strette calli, intruppati dietro all’ombrellino di una guida, una vera città, percorsa dai cittadini, dai suoi abitanti che, passando tra rive, campi e rughe e sottoporteghi, si salutano incrociandosi. Anche i lussuosi caffè di Piazza San Marco invitano a sedere nei loro tavolini all’aperto gli avventori locali a un prezzo ben più ragionevole di quello praticato in tempi di “vacche grasse”. I visitatori ora stanno cominciando pian piano a tornare, i garages di Piazzale Roma vedono nuovamente riempirsi i loro posti auto, i gestori di bar e ristoranti e negozi tornano a sperare in un rientro alla normalità.
Le acque del Canal Grande sono ancora piatte, senza moto ondoso, assomigliano a quelle dei quadri di Canaletto e di Guardi, prive dell’affollamento dei taxi e dei barconi turistici che c’era un tempo.

E quale sarà il futuro? Cosa succederà? Qualcosa cambierà? Tante le domande che restano senza risposta. “Di domani non c’è certezza!” diceva un Magnifico già diversi secoli fa. Non ci resta che annuire.

Myriam Zerbi collabora con MonteCarloin
A propos Myriam Zerbi 6 Articles
Myriam Zerbi, storica dell’arte, è figlia di collezionisti e ha fatto della passione di sempre il lavoro della vita. Ama la musica, con un debole per Vivaldi. È attratta da tutti i sud del mondo, dai cavalli, dal mare, e dal cioccolato fondente. Osa, a volte, scattare fotografie. Ama le parole, la lettura e la scrittura, avventure sorelle, e, da accanita idealista, è sempre alla ricerca di nuovi sentieri della mente e dello spirito da sondare, come di gusti da provare. Nella ricerca di un motto da far suo, trova un lampo di verità in «per foco sempre». Curatrice di mostre e giornalista, è felice di aver incontrato MonteCarloin in edicola… e da allora scrive storie d’arte e cultura da e per Monaco