Myriam Zerbi accompagna il lettore per le strade di Venezia, la città lagunare che di solito è affollata per il suo carnevale.
Una domenica di febbraio 2021, Piazza San Marco, il salotto della città, è abitato da un silenzio anomalo, in una Venezia sospesa tra reale e irreale. Ponte della Paglia – quello che guarda il Ponte dei Sospiri, braccio di collegamento tra Palazzo Ducale e le Prigioni –, dove, a memoria di cittadino, non si riusciva proprio a passare, a farsi largo tra frotte di turisti ammassati che rallentavano il passo scattando selfie e fantasticando (i più informati) sulle avventure di Casanova e di tutti i condannati che lanciavano alla laguna un ultimo sospiro, prima di finire chiusi in cella: oggi ad attraversarlo c’è una Signora, sola, che, al posto della bauta o della moretta, maschere che uomini e donne indossavano ai tempi della Repubblica del Leone, quando il Carnevale durava sei mesi all’anno, rende misteriosa la sua identità indossando la celeste mascherina chirurgica. L’atmosfera sospesa ci fa temere che possa sbucare dalla macchina del tempo il Mattaccino impiumato che insceni ancora il lancio di «ovi profumai», uova riempite di profumo per attirare l’attenzione e divertire la dama.
La Piazza, Rialto, l’Accademia, la Salute, il Canal Grande, le calli e i campielli vivono un incanto fuori dal tempo, malinconico e fulgente. Si sono da poco spente le colate d’oro digitale, con cui l’artista Fabrizio Plessi ha animato le finestre del Museo Correr in Piazza San Marco, che, nel riecheggiare una mitica età dell’oro, nel continuo fluire della preziosa, sensuale materia, e tutta la bellezza dello splendido passato di Venezia hanno saputo accendere desiderio, speranza e fiducia in un futuro oggi velato da mascherine FFP2 e dall’odore dei disinfettanti.
In una Venezia senza turisti, per i 51.221 residenti (in centro storico) riaprono gradualmente i musei. I giorni di Carnevale (da giovedì a martedì grasso 11,12, 15, 16) i musei dell’area marciana, Palazzo Ducale e il Museo Correr, accoglieranno i visitatori con ingressi contingentati per poi richiudere e riaprire in marzo insieme a Ca’ Pesaro, al Museo del Vetro, a Palazzo Mocenigo e al Museo di Storia Naturale, mentre il Museo del Settecento veneziano di Ca’ Rezzonico resterà chiuso alcuni mesi in ristrutturazione. Riaperte, in febbraio, la Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro e le Gallerie dell’Accademia, nel rispetto delle norme anti Covid, e la Fondazione Bevilacqua La Masa, nella Galleria a Piazza San Marco, non rassegnata ad avere chiusi i battenti, mette per tre mesi l’arte in vetrina, offrendo visibilità alla creatività contemporanea di giovani artisti, esponendo fotografie, video, pittura e grafica al godimento dei passanti.
Oggi più che mai, in una Venezia non più Serenissima, è improcrastinabile per i cittadini «rivendicare il diritto alla città», per ritrovarne l’anima, come esorta Salvatore Settis nel suo libro Se Venezia muore. I veneziani sanno che per la sua fragilità Venezia è costantemente in pericolo e che non basta richiamare, in un nome, l’eroe biblico che domò le acque del Mar Rosso, anche se è lui che a tutti viene immediatamente in mente nel nominare il MOSE, ben noto sistema di dighe mobili, concepito per salvare la città dall’acqua alta.
Dopo l’inondazione tragica del 12 novembre 2019, in cui la seconda marea più alta della storia, con un picco di acqua alta di 187 centimetri, ha colpito duramente i veneziani causando danni ingenti a monumenti, negozi e abitazioni, dopo anni fitti di polemiche, finalmente il Mose è stato azionato, a 17 anni dalla posa della prima pietra, e ha funzionato! Il 3 ottobre 2020, con una marea di 125 centimetri, Venezia è rimasta all’asciutto. «Il test è andato bene». Non dovrebbe essere un gran notizia che un immenso marchingegno, la cui realizzazione dura da anni, si sia dimostrato all’altezza delle immense spese sostenute per metterlo in opera. Che funzioni dovrebbe essere la normalità. Ma facciamo una storia veloce del MOSE, acronimo di «Modulo sperimentale elettromeccanico», che ha già fatto molto parlare di sé: decenni di progetti e lavori (l’inaugurazione ufficiale dovrebbe avvenire nell’ottobre di quest’anno), più di cinque (c’è chi dice sette) miliardi di spesa, circa cento milioni all’anno di necessaria e costante manutenzione, migliaia di pagine di inchieste, illeciti, tangenti, fatture false, commissariamento dell’impresa, quarantasei arresti più o meno illustri. Il suo compito dovrebbe essere quello di salvare Venezia chiudendo l’accesso alla laguna dell’acqua del mare. Si cominciò a parlare di costruire una barriera a protezione della città dopo l’«Acqua granda» del 4 novembre 1966, che raggiunse il livello record di 194 centimetri, portando con sé terribili devastazioni. Le acque alte c’erano anche al tempo della Serenissima ma, tra gli altri fattori che diversificano i nostri da quei tempi, allora i canali venivano regolarmente puliti, rendendo così più agevole il flusso e il deflusso delle maree; nell’Ottocento, invece, molti canali sono stati interrati e il delicato equilibrio della complessa rete di vie d’acqua si è incrinato. Il MOSE è sembrato essere la soluzione.
L’impianto, iniziato nel 2003, è formato da 78 paratoie di ferro alloggiate in grandi cassoni di calcestruzzo ancorati sul fondale. Sono strutture mobili piene d’acqua, che, in stato di quiete, restano sott’acqua sul fondo, collocate a chiusura delle tre bocche di porto (Lido, Malamocco e Chioggia) che mettono in comunicazione il Mare Adriatico con la Laguna e Venezia.
Quando l’alta marea sale oltre una certa soglia, le paratoie vengono svuotate con un sistema di aria compressa e, in pochi minuti (si dice che a regime dovranno essere 30, ma fino ad ora sono stati 97), si sollevano e bloccano il flusso della marea, che così non entra nella Laguna. Si tratta di un progetto di altissima ingegneria, nato, per risolvere non il problema della normale acqua alta che colpisce Venezia decine di volte l’anno ma solo quello dell’acqua alta eccezionale. E per le acque alte ordinarie? “Veneziani, mettete gli stivali di gomma!”, incitava negli anni ’90 il sindaco filosofo, provocatorio e ironico.
E cosa ne sarà quest’anno del Carnevale, bloccato in extremis l’anno passato? Ci sarà, e sarà Tradizionale, Emozionale, Digitale, con un variegato calendario di eventi virtuali, dedicati alla storia e alle tradizioni di Venezia e della festa, che raggiungeranno chi è nello spirito giusto direttamente a casa propria. Ci si potrà divertire in streaming, con improvvisazioni, travestimenti, musica e intrattenimenti di diverso genere trasmessi da Ca’ Vendramin Calergi, sede del Casinò di Venezia.
E con «Stanze Virtuali» sarà possibile partecipare a diversi eventi che coinvolgeranno i più piccoli, con laboratori, performance e racconti interattivi, e gli adolescenti, con travestimenti, tutorial e meet&greet con gli influencer del momento. Non mancherà neppure il tradizionale Concorso della Maschera più bella. Tutto ‘da remoto’, modalità a cui ormai tutti siamo avvezzi.
E intanto, nei canali, la natura riprende il sopravvento: nel centro storico, un immenso banco di cefali, grandi e piccoli, invade Bacino Orseolo dove le gondole, simbolo di Venezia, sono ormeggiate, ferme, inattive e coperte. In mancanza di turisti le garzette, eleganti uccelli bianchi di laguna, si danno appuntamento in barca e, scelto il posto, vi si accomodano. La natura si rivede in città, uno spunto per meditare su una nuova ripartenza. Diversa e sostenibile.