#COVID19: RESO PUBBLICO LO STUDIO SUL PLASMA DEL SAN MATTEO DI PAVIA

Questo pomeriggio in Italia si rendeva ufficiale con una conferenza stampa a Palazzo Lombardia, lo studio completato dal San Matteo di Pavia per curare i malati gravi di COVID19 con il plasma.

Un progetto portato avanti dal IRCS Policlinico San Matteo, dall’Università di Medicina di Pavia e dall’ospedale di Mantova. Ora il trattamento potrà essere adottato non solo in tutta la Lombardia ma in tutta Italia. Da giovedì i dati degli studi saranno comunicati alle riviste scientifiche per le pubblicazioni ma questo primo studio di Pavia è già in mano ai centri di Pisa, Firenze e Padova ma anche di diversi ricercatori e medici internazionali. Primi ad adottarlo, gli Stati Uniti, attraverso il più importante ente ematologico, che hanno iniziato ad applicare ad ampio raggio il protocollo al plasma per trattare i pazienti più gravi (questo è il sito che è stato creatohttps://www.uscovidplasma.org/ qui si vede la portata dell’approccio terapeutico negli USA) dopo che la FDA (Food and Drug Administration) ha approvato il protocollo di Pavia in tempi record.

Ma andiamo per ordine ed ecco le spiegazioni dei vari ricercatori.

Carlo Nicora, direttore generale del Policlinico San Matteo di Pavia ha spiegato che il progetto di studio è partito il 17 marzo e si è concluso l’8maggio, titolo dello studio “Plasma da donatori guariti da corona virus come terapia per pazienti critici“. I tre ricercatori, professor Fausto Baldanti, dottor Cesare Perotti e professor Raffaele Bruno, coinvolti nello studio hanno iniziato a lavorare in un momento in cui i medici sul campo non riuscivano a guarire in nessun modo le persone ricoverate in terapia intensiva, che invece continuavano a morire. Hanno deciso di esaminare qualcosa che in passato era già stata provata, ossia l’immunizzazione passiva, prendere il plasma da pazienti guariti e passarlo ai malati. Un punto fondamentale dello studio è stato avere donatori locali dell’area lombarda di ricerca (Pavia e Mantova) perché i donatori erano pazienti guariti che avevano avuto la malattia causata dallo stesso ceppo virale. È partito così il progetto di studio pilota. La prima domanda era quale tipo di anticorpi si devono inserire nel malato? Tre gli obiettivi dei ricercatori: 1) Studiare se utilizzando il plasma iper-immune vi era una riduzione della mortalità a breve in terapia intensiva 2) Se vi era un miglioramento dei parametri respiratori 3) se vi era un miglioramento dei parametri legati all’infiammazione.

Ha spiegato il professor Fausto Baldanti, Direttore dell’unità di virologia dell’Istituto San Matteo di Pavia il perché ha pensato allo studio con queste modalità. La virologia ci insegna che un’infezione virale si supera quando un organismo è in grado di costruire gli anticorpi neutralizzanti, che sono colori i quali riconoscono la struttura superficiale del virus che è l’elemento che il virus utilizza per entrare nelle cellule e infettarle. Rivestendo questo elemento il virus non è più in grado di infettare le cellule. L’idea è venuta al professore nelle prime settimane di marzo dopo l’identificazione del primo paziente ed ha ricordato che a quel momento non esistevano gli esami sierologici. Quindi il professore seguendo gli insegnamenti della virolgia classica ha fatto isolare il virus in vitro su cellule umane e l’infezione del virus su cellule umane portava alla distruzione delle cellule stesse che è quello che avviene nei polmoni dei pazienti. Prendendo il siero di pazienti che hanno superato l’infezione, il professore lo ha fatto aggiungere alle culture cellulari ed ha visto che la distruzione cellulare veniva fermata. Questo ha dimostrato che nel siero dei guariti esistono anticorpi di tipo neutralizzante. La ricerca è proseguita con lo stabilire quanti anticorpi ci fossero nei guariti. L’unità di misura si chiama titolo e vuol dire fino a che diluizione il siero è in grado di uccidere il virus. Ci sono persone guarite che hanno titoli molto elevati e altri più bassi. È stato importante caratterizzare il plasma dei guariti in base al potere di neutralizzazione che aveva il plasma. Ad alcun gruppi cinesi non è riuscita la tearpia al plasma perché non avevano calcolato il titolo dei donatori e non tutti ricevevano al stessa dose di plasma potente. Tutto questo è stato fatto nelle prime tre settimane dell’epidemia in Lombardia.

Il dottore Cesare Perotti, direttore del servizio di immuno-ematologia del San Matteo di Pavia ha aggiunto che per identificare il miglior plasma iper-immune sono stati tracciati i soggetti guariti, per garantire la sicurezza dei donatori. Grazie ai separatori cellulari apparecchi in funzione nei Centri di Racolta del Sangue, è stato raccolto il plasma con il titolo richiesto e in modo sicuro e rapido. Una volta scelto il donatore che rispondeva alla richiesta, donava 600 ml. di sangue in 35/40 minuti, questa quantità poteva curare due persone (300ml per guarire ogni paziente). Una cosa importante che è stata messa in evidenza è che la presenza nei guariti degli anticorpi in quella quantità non rimane nel tempo, diminuisce, quindi l’opportunità di raccogliere donazioni è fondamentale soprattutto in caso di una seconda ondata di epidemia.

Il professor Raffaele Bruno, direttore malattie infettive del San Matteo ha spiegato quali pazienti dovevano essere trattati per lo studio pilota. Sono stati scelti pazienti con più di 18 anni, positivi al corona virus, che avevano bisogno di supporto di ossigeno o intubati, che avevano un RX torace che mostrava la polmonite interstiziale bilaterale, pazienti sotto stretta osservazione perché potevano peggiorare in poche ore. Sono stati arruolati 46 pazienti, l’ultimo l’8 di maggio, tra Mantova e Pavia ed 1 a Novara.

Il professor Baldanti ha poi spiegato come si sia ridotta la mortalità dei pazienti che da un decesso ogni sei con il trattamento al plasma è passata ad un decesso ogni 16 pazienti. Miglioramenti si sono visti subiti dopo una settimana dal trattamento, netto miglioramento dei parametri respiratori degli esami radiografici della polmonite e del livello dell’infiammazione.

Lo studio fatto tra Pavia e Mantova sarà distribuito a tutte le strutture regionali che saranno identificate dal DG Welfare affinché si continui a raccogliere plasma e bancare il plasma per poterlo a mettere a disposizione in un’eventuale seconda epidemia.