Intervista a Omar Pedrini intervenuto allo spettacolo presentato dall’associazione Dante Alighieri Monaco, “Bergamo-Brescia, una duplice rinascita”.
Dopo un tragitto in auto a dir poco epico a causa di Rally di Monte-Carlo, Festival del Circo e uscita dagli uffici del venerdì sera, riesco finalmente ad arrivare al Théâtre des Variétés dove tra poco sarà celebrata la nomina di Brescia e Bergamo a Capitale della Cultura 2023.
Mi accoglie con un meraviglioso sorriso Veronica, la bellissima moglie del personaggio che sto per intervistare. Eccolo è lui, dal 2016 aspetto questo momento, da quando ho iniziato a seguirlo su Twitter e da quando analizzo i suoi testi. Grazia con grazia, quanto mi piace utilizzare questa paronomasia, dicevo la Presidentessa della Dante Alighieri mi presenta ad Omar Pedrini che mi omaggia di un vero baciamano, ovvero quello senza sfiorare la mano con le labbra. Omar è esattamente come avevo intuito: gentile, umile ed empatico. Con Angela, l’addetta stampa dell’Associazione, ci addentriamo nel teatro e scegliamo delle poltrone ed un tavolino al piano inferiore. Dopo un breve scambio di parole con il cantante mi sento già a mio agio e sotto lo sguardo azzurro e benevolo di Veronica inizio l’intervista.
Mi sento in dovere di condividere con i lettori questa premessa alla prima domanda che sto per fargli. Nel 1991 la canzone scritta da Omar Pedrini e presentata al Festival di Sanremo, dal gruppo da lui fondato i Timoria ed intitolata L’uomo che ride, non solo si aggiudicò il Premio della Critica ma addirittura fece nascere il premio per la Sezione Giovani. E poi nel 2004, come solista con la canzone Lavoro inutile, si aggiudicò il Premio Speciale dei giornalisti per il Miglior Testo. Per questi ed altri testi mi è venuto spontaneo domandargli:
C.V.: Tu sei musicista, cantante, compositore, autore televisivo, direttore artistico e cantautore. Hai scritto tanto ed i tuoi testi d’autore sono vere poesie. Ti procura maggior soddisfazione scrivere le canzoni o cantarle ai concerti?
O.P.: È una bella domanda. Diciamo che scrivere, se ti rispondo un po’ ironicamente, è il metodo per risparmiare soldi dallo psicanalista. Perché le mie canzoni sono tutte autobiografiche, fino all’osso. Parafrasando Fellini, sono autobiografico anche se parlo di una sogliola. Io racconto ciò che ho vissuto. Ci sono cantautori che invece raccontano anche le storie degli altri. Io invece ho questo rapporto proprio forte e sanguigno tra la mia vita e le mie opere. Anche se scrivere, a volte, può essere una sofferenza, una guerra con me stesso. Perché occorre andare a scoprire degli angoli sconosciuti delle mie emozioni che magari non ricordo o che non ho in qualche modo codificato, perché l’inconscio agisce e quindi è il mio tentativo, scrivendo, di trovarle. Sicuramente mi dà molta soddisfazione cantare le canzoni. All’inizio del concerto capisco il mio pubblico, io dico mio, perché si dice spesso il pubblico in generale ma io ci tengo a specificare che ognuno di noi ha il suo di pubblico, no? Il pubblico di un’artista non è detto che sia di tutti ed è proprio il bello della musica che ognuno individui i cantautori che gli sono più vicini, come ho fatto io stesso nella mia vita. Quando capisco quindi che c’è questa sintonia, questa empatia, a volte osmosi, tra me e il mio pubblico, è la soddisfazione più bella, perché mi sento meno solo. Quindi per rispondere alla tua domanda: decisamente le canzoni mi piace più cantarle che scriverle! Anche se scrivere è un vero lavoro, infatti mi viene in mente una citazione di Morricone, che sposo completamente: l’ispirazione conta, ma l’1% è ispirazione, il 99% è traspirazione.
C.V.: Come hai vissuto gli anni ‘80?
O.P.: Negli anni ‘80 io ero proprio giovane ma li ricordo bene. Sono gli anni della mia adolescenza, gli anni in cui ho iniziato a fare musica con una band, i Timoria nascono infatti nel 1987, avevamo 18-19 anni, il nome l’ho tratto da una versione di greco e significa vendetta. Prima, da bambino suonavo da solo, vengo da una famiglia dove la musica è molto importante. Il mio nonno era un liutaio ed un maestro di musica che ci ha influenzati tutti. Gli anni ‘80 sono passati alla storia come anni un po’ leggeri, gli anni della Milano da bere, gli anni del disimpegno. Invece, io li ricordo straordinari, ricordo quegli anni perché c’era ancora una bella voglia collettiva di vivere, di crescere, d’ideali, l’economia andava bene, l’Italia era veramente una potenza mondiale. Non ce ne rendevamo conto in quel momento, ce ne siamo resi conto dopo, negli anni ‘90 con le guerre nei Balcani, le stragi del ‘92 di Borsellino e Falcone. Invece negli anni ‘80 la caduta del muro di Berlino fu forse il simbolo per tutti noi di quel decennio che ci aveva dato l’illusione o la sensazione di libertà.
C.V.: Omar sei seguitissimo sui social, i tuoi post raccolgono una pioggia di like e commenti, quindi c’è una domanda che devo assolutamente farti. Com’è il tuo rapporto con i social?
O.P.: Un rapporto conquistato. Ho un bellissimo rapporto, mi piace ed è diventato ormai un lavoro di due ore quotidiane dedicate ai social. Ho capito che la tecnologia aiuta molto nel mio lavoro e sono rinato attraverso i social. Io infatti, per il mio problema di salute, la prima volta sono stato 5 anni senza cantare, perché i medici me lo avevano proibito. All’inizio ero allergico ai social, poi ho incontrato una ragazza che ha vent’anni meno di me, che ho sposato e mi sono reso conto che per la sua generazione e quella dei miei figli è una cosa proprio quotidiana, assolutamente normale, come per noi alzare il telefono una volta. Oggi non potrei più farne a meno, perché capisco che se usati per il lavoro sono utilissimi. Anzi li ringrazio e ringrazio la tecnologia perché mi hanno aiutato in un momento difficile, dopo 5 anni di interruzione musicale. La gente ti dimentica in un anno, se uno manca nel nostro lavoro basta un anno! Dopo 5 anni, ero stato dimenticato, tutti pensavano: è ammalato, non può più cantare. E invece attraverso i social sono rinato, ho aperto la pagina Twitter, poi quella Instagram, poi quella Facebook, era il 2014. Mi ricordo infatti 8 anni fa per uno spettacolo che feci al teatro Parenti di Milano. Mi domandavo: chi mi viene a vedere ora? Non avevo più un ufficio stampa e nonostante questo, grazie ai social mi sono reso conto che la gente arrivava allo spettacolo. Ho letto i commenti su Facebook ed ho capito la grande portata che hanno i social ed il risparmio di tempo e denaro per la pubblicità degli eventi. Permettono anche ad un artista, non era il mio caso, ma ad un artista emergente di farsi conoscere. Oggi forse subiamo il lato negativo di questi strumenti, tutti possono fare un disco e metterlo in rete. Una volta invece, si puntava su meno artisti, oggi ne escono 1000 al mese nella speranza che tre rimangano. Ai miei tempi, ormai mi tocca dire questa frase orrenda, (rido perché siamo quasi coetanei), quando una casa discografica puntava su di noi eravamo al massimo 5 artisti. E quindi eravamo sicuri di arrivare, oggi è una guerra.
Rivolgo a Omar Pedrini l’ultima domanda prima di farmi dedicare il libro “Cane sciolto” che aspetta con me dal 2018 questo momento.
C.V.: Vuoi formulare un desiderio artistico ed un desiderio personale da esaudire?
O.P.: Il mio desiderio artistico: vorrei scrivere una colonna sonora di un film d’autore, questo è il mio sogno, l’ho già fatto in passato ma vorrei rifarlo adesso con la maturità artistica. E lo farei in una maniera molto profonda. Per quanto riguarda il desiderio personale: sarò banale, è quello di veder crescere i miei figli e stare con la mia famiglia il più possibile, sono minacciato da questa malattia che non mi dà pace.
Questa risposta mi ha commossa ma me lo aspettavo. Omar Pedrini è una persona profonda, come la sua arte.
Che intervista! P.S. Omar e Veronica formano una coppia meravigliosa: È infinita, lo sento.