Nel 1998, l’artista giapponese Shimabuku scopre in un tempio di Fukuoka la leggenda di una sirena, dal corpo lungo 165 metri, che nel 1222 venne ritrovata sulla riva di una spiaggia. Diventò oggetto di venerazione, in quanto si credeva provenisse dal palazzo di una dea del mare.
Rimanendone profondamente colpito, l’artista decide di adottare questa storia e portarla con sé in numerosi viaggi, dall’Australia alla Francia – in senso letterale, compra una corda di 165 metri che si porta dietro per sentirsi più vicino alla creatura. Chiede ad artigiani stranieri di appropriarsi del mito e di creare artefatti che lo rielaborino, ampliandone la narrazione e creando un vero e proprio dialogo.
Questo è il punto di partenza della mostra “La sirena di 165 metri e altre storie” che è stata inaugurata questo venerdì al Nouveau Musée National de Monaco, e che rimarrà aperta fino al 3 ottobre 2021. Il punto focale dell’esposizione è infatti l’installazione “Sto viaggiando con una sirena
di 165 metri” (1998- ancora in corso), che comprende oggetti creati sia dall’artista che dagli artigiani. Questa narrazione si è arricchita con l’arrivo al Principato. Sono stati infatti esposti oggetti che costruiscono un legame nipponico-monegasco, come l’impronta della donna più alta di
Monaco (ricorderete forse le ricerche fatte quest’autunno per trovarla) su carta fotosensibile, o “il museo della sirena” di una classe di quarta elementare di Saint Charles. I bambini, dopo essere stati esposti all’opera di Shimabuku, hanno realizzato un vero e proprio spazio di cartone con tutte
le loro creazioni – l’artista costruisce così non solo un dialogo internazionale, ma anche intergenerazionale.
Il concetto di dialogo è infatti estremamente importante nelle opere di Shimabuku, che si inseriscono nella cosiddetta “arte relazionale”: una forma d’arte contemporanea che prevede la partecipazione del pubblico alla creazione dell’opera, e dove il focus è quindi posto sul processo e
la scoperta dell’Altro.
Tuttavia, la relazione secondo Shimabuku non si riduce ad una collaborazione umana: l’essere umano è parte di una rete in cui non è neanche al centro, la vera centralità delle sue opere si traduce infatti nelle relazioni esistenti tra tutti gli esseri e le cose. Esseri e cose opposte e incongruenti, spesso banali e trascurate, che si incontrano. L’artista osserva il mondo contemporaneo e lo rielabora, ponendo lo spettatore nelle condizioni di osservare come tutto è interconnesso. Le sue azioni poetiche, spesso dotate di un grande senso dell’umorismo, vanno in questo senso contro l’alienazione – attraverso l’incontro l’uomo deve imparare a diventare un’abitante del proprio mondo.
Questa mostra non potrebbe avere un tempismo migliore, i suoi gesti appaiono come gesti di cura, come per dire “Ei, io ci tengo”. In un momento in cui non ci è permesso relazionarci e siamo tutti un po’ alienati, Shimabuku ci mostra un mondo un po più ottimista, offrendoci una boccata d’aria.